La ‘Ndrezzata di Ischia ha alle sue spalle una storia lunghissima e ricca di particolari. Il canto e ballo rituale della frazione di Buonopane – di cui ci sono tracce ufficiali già nel 1600 e le cui origini vengono fatte risalire addirittura alla colonizzazione greca – ha iniziato ad avere successo in terraferma dagli inizi del Novecento. Già negli anni ’30 del secolo scorso, infatti, la ‘Ndrezzata era proposta con una certa frequenza non solo a Ischia, ma anche a Roma e soprattutto a Napoli e dintorni.
Il ballo di Buonopane sul Corriere della Sera e quella “benedizione” reale…
Un ballo per secoli in continua evoluzione, per questo è interessante scoprire come si presentava negli anni ’30 del Novecento. Parliamo, è bene sottolinearlo, di un momento storico decisamente particolare per Buonopane: a dimostrarlo la massiccia migrazione nelle Americhe e in Africa di grandi fette di popolazione. Proprio questi eventi portarono da un lato alla disgregazione di buona parte del gruppo folk buonopanese del primo Novecento, dall’altro a spettacoli della ‘Ndrezzata addirittura a New York nel 1916-17 e a Buenos Aires nel 1924.
Concentrandoci sugli anni ’30 della ‘Ndrezzata, a venirci in soccorso è il lavoro di Alberto Consiglio, giornalista e politico che curò vari articoli sull’argomento sul Corriere della Sera e su La Stampa. Consiglio si interessò particolarmente al tema anche alla luce della presenza della danza ischitana al raduno dei costumi nazionali che si tenne a Roma dal 5 all’8 gennaio 1930, in occasione delle nozze tra Umberto II di Savoia e Maria Josè. Come raccontarono le cronache dell’epoca, la tradizione isclana venne molto apprezzata dalla famiglia reale.
La prima comparsa della ‘Ndrezzata sul Corriere della Sera risalì al 26 luglio 1932, all’interno dell’articolo “Guida mitica del mediterraneo” scritto proprio da Consiglio. Qui il giornalista poneva l’accento sui colori del ballo e altri particolari:
La ‘ndrezzata è una sorta di coreografia alla quale prendono parte tutti i giovani del paese in un curioso costume bianco e azzurro. Armati di una lunga spatola di legno, i ballerini saltano cantando una strana nenia e urtano le finte armi, componendo una sorta di fantasia guerresca
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La Ndrezzata si fa apprezzare dagli italiani. Un articolo del 1935
Passavano gli anni e la ‘Ndrezzata si faceva sempre più conoscere come una delle tradizioni più interessanti del folklore della Campania. Non è un caso che la truppa buonopanese fosse tra gli ospiti fissi della celeberrima Festa di Fuorigrotta, a Napoli. Nel 1937, infatti, su Stampa e Corriere della Sera si poteva leggere della presenza dei “danzatori guerrieri di Barano d’Ischia, celebri ormai per la loro classica ‘ndrezzata“.
L’articolo più interessante sul tema, pubblicato l’8 settembre 1935 sempre sul Corriere, portava ancora una volta la firma di Alberto Consiglio e si intitolava “L’arte di far l’eremita”. Qui il giornalista non si concentrò solo sulle peculiarità della vita sul Monte Epomeo, ma diede per l’appunto molto spazio alla danza ischitana.
Oltre Barano, nel piccolo borgo di Buonopane, di domenica i giovani si allenano per la ‘ndrezzata. Questa danza, che è una delle cose più rare e preziose del folclore mediterraneo, uscì fuori dei colli vulcanici dell’isola pel raduno nazionale dei costumi, in occasione delle nozze del Principe di Piemonte. Non è facile veder ballare la ‘ndrezzata: la sua fama si è appena cominciata a muovere. (…) Ma i rari forestieri che l’han vista hanno subito intuito la sua grande bellezza.
Sono tanti gli spunti interessanti dell’articolo, dal numero di danzatori impiegati all’epoca fino ad arrivare alle conseguenze che, come abbiamo già accennato, ebbero le frequenti emigrazioni.
Si tratta di una sorta di canzone a ballo di carattere militare e lievemente grottesco. E’ danzata da sedici giovani divisi in due squadre, in brache bianche e polpe: al raduno nazionale dei costumi una squadra aveva farsetto e zucchetto bianchi, un’altra celesti. Questa compagnia è stata dissolta dalle partenze per l’Africa. Un’altra, ancora in efficienza, ha una squadra in bianco e un’altra in rosso e verde.
Come si ballava la ‘Ndrezzata negli anni ’30 del Novecento
La danza ischitana stregò particolarmente Alberto Consiglio. Il giornalista ebbe il merito di presentare la ‘Ndrezzata a tutta l’Italia, questa volta non omettendo alcun dettaglio. Molto interessante, in questo senso, la lunga sezione dedicata alla coreografia e ai canti:
Si dispongono i danzatori in due cerchi concentrici. Un piffero ed un tamburello intonano una nenia e i giovani, fronteggiandosi a coppie, marcano il ritmo con una cantilena di parole incomprensibili, ondeggiando il corpo e simulando uno stilizzato combattimento. Battono a vicenda spada contro daga, che son di legno, intrecciando e complicando i colpi, scambiando bruscamente i posti con salti marziali.
Le cantilene, che danno varietà alla danza, sono: Una, doie e treia, Quattro, cinco, sei, sette e otto; altre, come ‘ndrallera e ‘ndanderandera, si limitano a dare alcune sillabe d’appoggio alla voce; altre ancora, con perduti vocaboli seicenteschi, parlano di un misterioso Antonino Napoleone.
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Le origini del ballo ischitano secondo il giornalista del Corriere
Il merito di Alberto Consiglio non fu solo di raccontare la ‘Ndrezzata di inizio Novecento. Il giornalista del Corriere della Sera si concentrò pure sulle origini della danza ischitana, partecipando a un dibattito che dura da secoli. Anche lui ipotizzò un legame con la colonizzazione degli eubei, sulla scorta delle celebri parole del caporale Fiore Di Iorio a una domanda di Raimondo Manzini negli anni ’50: “Eccellè, è ‘na danza greca!”.
Certo, questa danza marziale ha assunto l’attuale sua forma nel Seicento, e da quel tempo dev’essere immutata. Infatti il duello stilizzato, con spada e daga, – come si usava, appunto, nel Seicento – è un sicuro documento d’origine. Ma la primissima origine è molto più lontana, ed è da ricercarsi certamente nelle usanze popolari dei greci d’Eubea che colonizzarono l’isola, e i Campi Flegrei, quando il fuoco vulcanico era ancora signore della plaga. Quei greci, appunto, che danzavano appassionatamente il pirrachio.
Non che la ‘ntrezzata sia da ritenersi, addirittura, come una eco del pirrachio, ma il gusto dei giovani vignaioli e pescatori di Buonopane, che non vedono nella danza una figurazione amorosa, ma un ritmo da dare al maneggio delle armi e agli atteggiamenti marziali, è un indice eloquente. Lo stile di questa danza deve essersi andato risolvendo, nel corso dei secoli, in una sorta di pittoresca mescolanza: dall’alto delle loro colline di lava gli ischitani devono aver spiato più di una volta, nei secoli di mezzo, le fantasie dei pirati saraceni intorno ai fuochi di bivacco, sulla marina dei Maronti.
Il ballo ischitano famoso prima del boom turistico
La partecipazione alle nozze reali e a numerose feste di Fuorigrotta, unitamente al grande interessamento del Corriere della Sera dimostrano che la ‘Ndrezzata fosse molto conosciuta (e apprezzata) in terraferma anche prima del boom turistico. Prima, insomma, dell’entrata in scena dell’imprenditore Angelo Rizzoli, che a partire dagli anni ’50 promosse fortemente tutta l’isola e nello specifico anche il ballo, attraverso campagne pubblicitarie massicce. Il cumenda Rizzoli fu fondamentale in una fase di grandi cambiamenti per la ‘Ndrezzata, come testimoniano – ad esempio – l’aggiunta del canto di Fontana “Ngoppa Santu Nicola“, lo spostamento della predica (“Vengo da Montecupo“, originaria di Campagnano di Ischia) nella fase iniziale dello spettacolo e l’utilizzo di costumi con colori ispirati al tricolore italiano.