Onofrio Buonocore e le origini del nome “Punta della Scrofa”

Onofrio BuonocoreSperone trachitico che avanza nel mare in quel di Casamicciola, Punta della Scrofa “porta il peso” di un nome particolare, destino che la accomuna ad altre zone dell’isola (vedi Punta pisciazza, tanto per dirne una) . Complicato, in questi casi, capire perché a certi posti di Ischia siano stati assegnati certe denominazioni. Nello specifico, per quanto riguarda Punta della Scrofa, ci viene in supporto una leggenda riportata da Onofrio Buonocore nel suo “Leggende Isclane”. Protagonisti un ragazzino (Menandro) e un gruppo  di amici desiderosi di divertirsi, una scrofa e dodici porcellini. A chiudere il quadro, la Sibilla Cumana…in trasferta.

Ecco cosa scriveva Buonocore (lo riportiamo letteralmente)

Due terzi di millennio avanti Cristo, la marina, nella plaga della Scrofa pigliava più vasta espansione: dove oggi biancheggia l’arenile, vaneggiava allora un boschetto selvaggio.
Dal ciglione che sale a picco, si affacciavano querce annose e sorci arborescenti. Nella stagione delle ghiande, Menandro, il giovinetto di Polemaro e di Ippolita, soleva menare alla pastura la scrofa con dodici porcellini. E mentre gli animaletti stavano a riempirsi, pigliava diletto il piccolo guardiano, a tuffarsi nell’onda o ad inerpicarsi per cogliere sorbe. Ed era uno spasso, quando si recavano a tenergli compagnia coetanei discoletti; caprioleggiavano a gara; si dilungavano dal piccolo gregge, si affaccendavano nelle svariate arti dei ragazzi.
A poca distanza s’infossa nel macigno, sotto la rupe del Castiglione la grotta della Sibilla. Si era guastata la veggente con Aristodemo, il governatore di Cuma; era venuta alla ricerca di rifugio solitario nello scoscendimento isclano; si viveva appartata, avvolta nel mistero, riverita assai.
Menandro, che cotidanamente si conduceva nei d’intorni, sospinto da curiosità puerile, spesso spesso si tirava nelle vicinanze, nell’attesa che la donna si affacciasse all’uscio.
Per cenni, per occhiate minacciose quella significava il disgusto; il giovincello, per il momento pigliava il largo; poi, ripeteva le volte.
Un brutto mattino, una folta nidiata di monellucci era andata a tener compagnia a Menandro che stava a guardia dei porcellini. Si rincorsero per l’arenile, fecero il bagno, si arrampicarono per i vigneti per risparmiare le fatiche della vendemmia ai coloni…e, poi, a squarcia gola: alla grotta, alla grotta!
La Sibilla, allo schiamazzo petulante, venne fuori, nell’aspetto orrido di quando era invasa dal nume; il volto arrapinato, gli occhi che volevano saltare dalle orbite, irti i capelli in un arruffio che dava sinistra cornice al sembiante: e, allungando il braccio stecchito minacciava il malanno.
I giovincelli si raccomandarono alle gambe; quando fecero per raccogliere il piccolo gregge che trovarono? Tredici porchetti di pietra: il muso allungato in atteggiamento di ghermire la ghianda!
E quelli che accorsero a contemplare lo spettacolo, battezzarono il luogo col nome che reca ancora.
Le acque, da quel lato invadono sempre più, di anno in anno; la scrofa e i porcellini, abitualmente, sono velati dalle onde; ma quando il mare è scemo, vien fatto numerare tredici blocchetti, che, dopo tanta corrosione di secoli, si o no conservano ancora gli antichi lineamenti quadrupedali!

Onofrio Buonocore e le origini del nome “Punta della Scrofa”
Torna su